Orbit Orbit è il classico disco che arriva con tutte le aspettative del mondo addosso: Caparezza che torna, Caparezza che cambia pelle, Caparezza che “si reinventa”. Poi premi play…e ti accorgi che più che un’orbita, qui c’è un giro su se stessi. Il concept è ambizioso, come sempre. Lui mette metafore, incastri, filosofia personalissima e quelle rime che fanno venire voglia di prendere appunti. Però stavolta sembra tutto più cerebrale che emozionante. Una testa che lavora a mille, ma un cuore che rimane fuori dal mix. La produzione è pulita, studiata, geometrica. A volte fin troppo: c’è l’impressione che le idee siano schiacciate dall’esecuzione, come se qualcosa avesse tolto all’album quella rabbia, quella follia, quella spinta che rendeva ogni disco di Caparezza un terremoto. I pezzi scorrono bene, certo. Ma quanti lasciano davvero il segno? Quanti ti spiazzano, ti agitano, ti ribaltano? Pochi. Troppi pochi. Caparezza resta un gigante di testa, uno dei pochi che prova ancora a dire qualcosa in modo originale. Ma un concept brillante non basta se il fuoco rimane basso.
Caffè Amaro ☕️
”L’orbita c’è. L’impatto un po’ meno.”
Voto: 6/10

