“Gioia Mia”: quando un bambino iperconnesso incontra una zia fuori dal tempo – Il film d’esordio di Margherita Spampinato con una straordinaria Aurora Quattrocchi

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Gioia Mia

Cosa accade quando un bambino cresciuto tra smartphone, app e logiche veloci viene mandato a trascorrere l’estate in Sicilia insieme a una zia anziana, religiosa e inflessibile? Da questo incontro nasce “Gioia Mia”, il film d’esordio di Margherita Spampinato, interpretato da una intensa e magistrale Aurora Quattrocchi nel ruolo di zia Gela.

Il film racconta la storia di Nico, un ragazzino abituato alla vita urbana, ai dispositivi sempre accesi e a un mondo iperconnesso. I genitori decidono di mandarlo in Sicilia per “staccare”, ma ad accoglierlo trova una donna che sembra vivere in un altro tempo: lenta, rituale, profondamente religiosa, legata ai ritmi e alle credenze del paese.


Due mondi opposti costretti a convivere

L’impatto iniziale è uno scontro frontale.
Nico vive con la frenesia tipica dei ragazzi di oggi: tutto dev’essere immediato, logico, disponibile.
Zia Gela, invece, è convinta della forza della preghiera, dei simboli, delle consuetudini antiche.

La casa della zia diventa il teatro di continui attriti:

  • divieti, incomprensioni, telefoni nascosti,
  • riti religiosi che sembrano assurdi al bambino,
  • diffidenza reciproca,
  • un tempo che per Nico sembra non passare mai.

Eppure, lentamente, qualcosa cambia.


Un legame che nasce nei piccoli gesti

Il film non forza la crescita emotiva dei protagonisti: la lascia maturare nel silenzio, negli sguardi, nelle abitudini condivise.
A poco a poco, Nico impara a osservare sua zia senza giudicarla, mentre Gela – sotto la superficie dura – rivela una tenerezza inattesa.

Il loro legame si forma attraverso due momenti chiave:

  1. La vulnerabilità del bambino, che in un momento di malinconia confessa quanto gli manchi l’affetto di casa.
  2. Un dolore improvviso, che li costringe a stringersi e a riconoscersi nella fragilità dell’altro.

Sono scene che mostrano quanto l’affetto possa nascere proprio nei punti di frattura.


Il ricordo personale che diventa racconto universale

Il cuore del film nasce dai ricordi d’infanzia della regista: estati trascorse in Sicilia, tra superstizioni, tradizioni religiose e un mondo completamente diverso da quello urbano della sua quotidianità.

“Gioia Mia” diventa così un racconto della duplicità della crescita: due identità che convivono, due educazioni diverse, due modi opposti di guardare il mondo.
È il percorso di un bambino che scopre un universo più lento, emotivo, quasi magico, e di un’adulta che riscopre la capacità di lasciarsi toccare dagli altri.


Aurora Quattrocchi: la forza e la dolcezza di zia Gela

Aurora Quattrocchi dà vita a un personaggio di una complessità rara.
Gela è ruvida e severa, ma sotto la scorza porta un bagaglio di ricordi, solitudini e regole che la rendono profondamente umana. L’attrice costruisce il ruolo attingendo ai volti della sua storia familiare: nonne, zie, donne che “sapevano come si sta al mondo”.

La sua interpretazione è un equilibrio tra durezza e poesia: una presenza che riempie la scena anche quando non parla, che guida e si lascia guidare, che insegna senza predicare.


Nico: un ragazzo di oggi tra fragilità e schermi

Nico rappresenta una generazione intera: ragazzi capaci, attenti, veloci, ma anche fragili, spesso soli dietro la luce artificiale degli schermi.
Il film non demonizza la tecnologia: la osserva da vicino, ne mostra i rischi e i benefici, ricordando che il vero problema non è lo strumento, ma il modo in cui gli adulti insegnano – o non insegnano – a usarlo.


Una Sicilia che diventa personaggio

La Sicilia del film non è sfondo: è un corpo vivo. Le case antiche, i silenzi assolati, il ritmo lento delle giornate creano un’atmosfera sospesa, quasi mitica. È un luogo che accoglie, mette alla prova, rivela.


Un film sull’amore che non ha nomi

Alla fine, “Gioia Mia” è un film sull’amore non romantico:

  • l’amore che nasce dalla cura,
  • l’amore che cresce tra generazioni,
  • l’amore che non si vede, ma che si sente,
  • l’amore che insegna a guardare, ascoltare e aspettare.

È un’opera delicata, luminosa, che parla a tutti: ragazzi, adulti, genitori e nonni.
Un film che ricorda che dialogare tra mondi diversi è ancora possibile, se si accetta di rallentare e di farsi toccare dall’altro.

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