La Mostra Internazionale del Cinema di Venezia si è appena conclusa con la vittoria del Leone D’Oro a Pedro Almodovar. Ma nei giorni che precedono la premiazione non sono solo i grandi attori a frequentare le vie del Lido e le sale dell’hotel Excelsior. Abbiamo incontrato e chiacchierato con il produttore italo-americano Nicolas Porcelli. Sulla terrazza del terzo piano, con una splendida vista sul mare, ci ha raccontato di come è nata la sua passione per il cinema e il teatro e ci ha svelato il suo nuovo, ambizioso, e praticamente unico nel suo genere, progetto teatrale.
Nicolas Porcelli: l’inizio della sua carriera a teatro
D- Raccontaci come hai iniziato.
R- Io sono cresciuto per la maggior parte negli Stati Uniti e New York e lì ho cominciato a fare teatro. Avevo 18 anni. Poi da lì ho iniziato a fare un po’ di cinema, facevo cortometraggi, sempre molto teatro. Dopo ho avviato una mia compagnia teatrale con due, tre soci, che è andata avanti per alcuni anni fino, che poi ci fu chiusa dopo l’attacco alle torri dell’11 settembre. Mi trasferii a Los Angeles, un po’ dopo a Hollywood. Che è quello di solito il passo che si fa, si comincia a New York, poi uno si trasferisce a Los Angeles e può fare più cinema.
Il cinema negli anni 90 e il passaggio al teatro
A New York c’era fino a metà anni 90 c’era un movimento di cinema indipendente, che era stato lanciato alla fine degli anni 80 con Soderbergh, con De Lillo e altri registi, scrittori, autori, ed era un movimento molto creativo. Ho imparato anche un po’ la parte del cinema dietro le quinte, cominciavo a studiare sceneggiatura, ho fatto molti studi di sceneggiatura e anche di scrittura e drammaturgia in teatro. Poi una volta trasferito a Los Angeles ho inziato a lavorare come attore e poi mi interessava sempre molto la parte produttiva. Che poi in effetti va mano nella mano con la recitazione.
La carriera come produttore
Come tu ti sarai resa conto, se segui la carriera di alcuni attori, inevitabilmente cominciano a produrre, ormai quasi tutti. Non è più come una volta. Negli anni ’50, anni ’60 non c’era questa cosa qui, perché c’erano gli Studios, c’erano i grossi produttori. Ci sono varie parti produttive naturalmente, io parlo della parte produttiva creativa. Quindi io maggiormente quando andrò su un progetto, come questi qui che sto lavorando adesso, sono un creative producer, sono il produttore creativo. Poi ci sono gli esecutivi, poi c’è il produttore che porta avanti tutta la produzione, poi c’è il produttore quello che porta i soldi che viene chiamato in cari modi, basta che porta i soldi.
Il ritorno in Europa
Poi mi sono trasferito in Europa cinque anni fa, un po’ prima della pandemia. Vivo tra Londra e l’Umbria. Mi trovo benissimo, però lavoro molto con gli americani,essendo americano anch’io. Lavoro molto più con case di produzione americane, perché li conosco da sempre, e c’è un rapporto di amicizia, fiducia. Perché è importante la fiducia in questo mestiere, è importante in qualsiasi, non importa quale cappello indossi, avere la fiducia degli altri, dei colleghi.
D- Nicolas Porcelli produttore ma anche attore?
R- Sì sì io nasco come attore, sono sempre fatto l’attore, tuttora lo faccio. Infatti in uno di questi film che sto producendo adesso, che per la maggior parte si svolgerà in Umbria, sono un attore, faccio un ruolo non protagonista. Come anche a teatro. Sto per lanciare un altro progetto teatrale. Ho appena fatto, a febbraio-marzo scorso, una produzione di un dramma di Pasolini, che si chiama Orgia. L’abbiamo fatta a Roma, al teatro La Basilica, e che forse la riprenderemo. Come attore sono sempre molto attivo. Ho fatto alcune serie televisive recentemente, ho lavorato con Paolo Sorrentino, in The New Pope.
D- Ti volevo appunto chiederti com’è stata l’esperienza a fianco di Sorrentino?
Stupendo, è stata un’esperienza bellissima. Mi ha sorpreso una cosa, ma felicemente sorpreso, una sorpresa positiva. Sorrentino dà campo agli attori, ecco ti dà a te, all’attore, ti dà spazio, soprattutto quando ci sono delle scene complicate, con delle sfumature sensibili. Te lo chiede, te lo dice, cosa vedi qua, come lo vorresti fare. Sorrentino è uno molto aperto, e se sa che sta lavorando con una persona che ha una certa preparazione, nasce subito una fiducia. Per me è un grande regista, io lo trovo tra i migliori in Europa.
Le difficoltà dalla produzione
D-Nicolas Porcelli produttore, quale è stata la difficoltà più grossa che hai avuto?
R- Io faccio anche molto lavoro di sviluppo di sceneggiature. Quindi quando, come lo sto facendo adesso, da un romanzo stiamo adattando a una sceneggiatura, di solito faccio anche come produttore. Lì la cosa difficile è avere una piattaforma dove fare arrivare il progetto, farlo arrivare al posto giusto, e a volte si rimane bloccati. Rimani bloccato da qualche parte, su qualche scrivania, su qualche scaffale di qualche assistente o qualcuno che non l’ha visto, un agente o quello che sia. Quindi la parte che io trovo più difficile è come fare arrivare il progetto. Perché ormai dopo 30 anni esatti che faccio questo mestiere, un’idea di una storia scritta bene, una storia di una sceneggiatura scritta bene ce l’ho, quindi conosco subito un potenziale, e da quel punto diciamo come produttore creativo, la cosa è farla arrivare nelle mani delle persone giuste. Quella è la parte sempre un po’ più difficile. Trovi tante porte chiuse, poi magari, ma non sempre, a volte la porta si apre all’improvviso, allora possiamo arrivare a questa persona.
Il monopolio grossi network
Ti parlavo anche dei grossi network, parliamo di Netflix, Apple e via vai, quindi è un business molto cambiato adesso. Perché adesso molti molti grossi progetti bellissimi, diciamo di quelli veramente di alta qualità , scritti benissimo, vanno direttamente in mano a questi diciamo 4, 5. Netflix, Apple, Amazon, hanno proprio come un… Come si dice? Un’aspirapolvere, se li tirano subito, perché loro hanno dei capitali enormi, loro sono in effetti come gli studios degli anni 50, gli anni 60.
Le conseguenze dello sciopero
Negli Stati Uniti c’è stato un grande sciopero, l’anno scorso. Quindi adesso molti produttori sono molto cauti, estremamente cauti a far partire dei progetti. Molti progetti vogliono venire in Italia, altre parti d’Europa, Canada, molti vanno su in Canada. Questo progetto su cui sto collaborando è di una produzione italo-americana, di Los Angeles.
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D- Si parlava di produzione del fatto che c’è stato questo sciopero, del fatto che sono cauti i produttori anche negli Stati Uniti e si vogliono spostare o tendono a spostarsi anche verso l’Italia. Cosa pensi della crisi della produzione cinematografica italiana a livello di storie?
R- A livello di storie diciamo che senz’altro la tradizione non manca. La tradizione italiana su come scrivere una scieggiatura, come scrivere una grande storia è forse tra la migliore al mondo. Ci sono stati dei grandi insegnanti, dei grandi scrittori, si parla di Cesare Zavattini, cominciando da lui, poi c’è tutta una scia. In Italia c’era una grande scuola, cioè esiste ancora, c’è il centro sperimentale. In Italia quella grande tradizione che c’era si è un po’ dissipata, un po’ sparita. Era forse tra i primi paesi al mondo che ha creato la tradizione di come studiare sceneggiatura. Lo storytelling, è nato qui in Italia negli anni 30 attraverso quella scuola che c’era, e quei grandi insegnanti che c’erano. I grandi insegnanti non ci sono più, forse c’è qualcuno non lo so, non frequento quelle scuole, però da quello che sento da tutte le persone, sento che la tradizione, la grande tradizione di una volta non c’è più. Quindi ci mancano i grandi sceneggiatori, i romanzieri ci sono, sono dei bravissimi scrittori in Italia, grandi scrittori che scrivono dei romanzi bellissimi, ma la struttura, la sceneggiatura, dalla sinossi al trattamento alla sceneggiatura… C’è un gap ma io penso che si possa recuperare. Il talento all’interno non manca mai in qualsiasi campo, quindi è una questione di poter ricreare questa cosa. Perché il cinema si fa lì. Dicono che il cinema è del regista si ma il regista ha bisogno dei copioni, dei copioni delle storie. Molti grandi registi non scrivono, penso a Martin Scorsese, Steven Spielberg, non sono sceneggiatori, però capisco la sceneggiatura che funziona.
Ascolta l’intervista audio completa a Nicolas Porcelli
The International Theatre of Rome
D- Progetti futuri per Nicolas Porcelli?
R- Allora progetti, ce n’ho uno teatrale. Poiché sono in Italia adesso diciamo non proprio fisso fisso full time, però sono come minimo sei mesi l’anno qui in Italia, ho notato una cosa che non sapevo. Che c’è una comunità di espatriati enorme e che cresce sempre di più. Soprattutto dove siamo noi in Umbria. A Roma ancora di più, perché adesso tramite social network riesce a vedere la quantità di persone che ci sono e io l’ho notato. Ci sono come minimo dai 70 ai 100 mila espatriati che vivono a Roma e dintorni. Quindi ho detto “non hanno un teatro in lingua inglese” non c’è non esiste. La maggior parte degli expat vive Roma, ma non è che parlano l’italiano che possono andare a teatro e capiscono tutto. Ispirandomi a un’idea che è venuta da altri, in altre città europee, che l’hanno fatto prima di Roma, tra cui Francoforte, Praga, prima c’era anche a Parigi, per un piccolo periodo di tempo l’hanno fatto anche a Madrid. Ho deciso di creare The International Theatre of Rome, e sarà un teatro, naturalmente in lingua inglese, però faremo anche cose in tedesco, in francese e magari anche un po’ in lingue dell’Europa dell’Est. Mi piacerebbe portare giù delle compagnie che sono molto brave dalla Russia, dall’Ucraina, da altri paesi. Così possiamo unificare attraverso il teatro, è stato fatto nel passato. La potenza delle arti può unificare magari anche questi popoli che sono in un conflitto molto tragico. E poi ci sarà il progetto gemello a questo, che sarà in Umbria, poiché in Umbria abbiamo anche degli artisti molto importanti a livello internazionale.
E poi un film..
Quindi abbiamo questi due progetti di teatro in lingua inglese. Teatro in lingua inglese e poi un film, una storia bellissima, che posso accennare prima proprio un tantino perché mi hanno chiesto di non parlare tanto tanto. Posso dirvi cheè una bellissima storia di questa donna che ritrova la sua vera passione creativa, che aveva abbandonato quando aveva 21 anni perché si era sposata con il suo fidanzato dell’università . Lui andò avanti a fare una grossa carriera chirurgica. E poi dopo con due figli, insomma, si trova a 45 anni dopo 20 anni, viene a fare questo viaggio in Italia da Los Angeles e c’è questa epifania. Durante una conversazione con un artista italiano, anche lui nel bel mezzo di un blocco creativo. E a un certo punto si scopre e riparte questa cosa, si dice sì ma io sono ancora giovane. Quindi questa donna ritrova il suo fuoco creativo e come se lei rinascesse. Poi c’è tutta un’altra metà della storia che non possiamo dire.